L'Ocse riconosce che le crescenti diseguaglianze minano la crescita economica, oltre alla coesione sociale. In Italia, povertà e diseguaglianza sono più ampie che nella media OCSE

Rapporto OCSE – In It Together. Why less inequality benefits all.  (Puoi leggere l'articolo per esteso cliccando  sul titolo della della notizia).

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Proseguendo il filone di ricerca già avviato con “Growing Unequal” (2008) e “Divided We Stand” (2011), l'OCSE – Organizzazione per la Cooperazione allo Sviluppo Economico, che riunisce i 34 paesi ad economia avanzata del “blocco” occidentale – ha diffuso nei giorni scorsi il rapporto “In It Together. Why less inequality benefits all” (Tutti coinvolti. Perchè meno diseguaglianza è meglio per tutti), che conferma il crescente trend alla concentrazione verso l'alto dei redditi e della ricchezza e ribadisce gli effetti negativi delle diseguaglianze, non solo da un punto di vista di giustizia sociale, ma anche da un punto di vista di mancata o ridotta crescita economica.

Ad esempio, secondo l'OCSE, le crescenti diseguaglianze rilevate per il periodo 1980 – 2005, avrebbero ridotto la crescita nei paesi OCSE del 4,7% medio per il ventennio 1990 – 2010.

Alle analisi, come sempre, non corrispondono indicazioni altrettanto coerenti in termini di politiche economiche e sociali, anche se si individuano nella partecipazione delle donne e nella riduzione delle differenze e discriminazioni di genere, nella promozione di lavoro di buona qualità, nella riduzione delle differenze di accesso ad un'istruzione di alta qualità e in politiche fiscali e di sostegno ai redditi maggiormente redistributive le quattro aree di politiche che i governi dovrebbero seguire per ridurre diseguaglianze e promuovere maggiore crescita.

Le differenze di reddito aumentano sia nelle congiunture positive che in quelle negative

Il rapporto rileva come, nella maggioranza dei paesi, la differenza tra ricchi e poveri sia al suo più alto livello da 30 anni a questa parte.

Oggi, nei paesi OCSE, il 10% più ricco della popolazione guadagna 9,6 volte il reddito del 10% più povero. Negli anni '80, questa differenza era di 7 a 1, per poi crescere a 8 a 1 negli anni '90 e a 9 a 1 nei primi 2000.

I paesi OCSE con la più alta diseguaglianza sono Cile, Messico, Turchia, Usa e Israele, mentre quelli “più egualitari” sono Danimarca, Slovenia, Repubblica Slovacca, Norvegia e Islanda.

L'Italia è il tredicesimo paese più diseguale.

In diverse economie emergenti, soprattutto in America latina, la differenza di reddito si è ridotta, ma rimane generalmente più alta che nei paesi OCSE.

 Durante la crisi, la differenza di reddito ha continuato ad allargarsi, soprattutto a causa della caduta dei livelli occupazionali; la redistribuzione attraverso le tasse e la protezione sociale ha ridotto le diseguaglianze solo parzialmente.

Comunque, al livello più basso della distribuzione dei redditi, il reddito reale delle famiglie è caduto in maniera sostanziale nei paesi più duramente colpiti dalla crisi, mentre i redditi dei più ricchi sono aumentati o sono diminuiti in maniera proporzionalmente assai minore.

L'OCSE nota che molto del recente dibattito sulle diseguaglianze si è focalizzato sui più alti percettori di reddito, in particolare l'1% più alto, mentre minore capacità di comprensione c'è stata sul declino relativo dei percettori di basso reddito, non solo l'ultimo 10%, ma il 40% più basso.

Il rapporto In It Together si focalizza, quindi, soprattutto su queste famiglie, indagando su alcuni dei fattori che hanno indebolito la loro posizione economica e le possibili politiche da attuare per cercare ad affrontare le crescenti diseguaglianze.

Più alte diseguaglianze drenano la crescita economica verso il basso e minano le pari opportunità

Secondo il rapporto, oltre al suo impatto sulla coesione sociale, la crescente diseguaglianza mette in pericolo la crescita economica di lungo termine.

Si stima, ad esempio, che l'aumento della diseguaglianza di reddito tra il 1985 e il 2005 abbia ridotto la crescita cumulativa di 4,7 punti percentuali tra il 1990 e il 2010, nella media dei paesi OCSE per i quali sono disponibili dati di lungo periodo.

Il fattore chiave è il crescente gap tra le famiglie a più basso reddito – il 40% più basso della distribuzione – e il resto della popolazione.

 Il principale meccanismo di trasmissione tra la diseguaglianza e la crescita è, secondo l'OCSE, l'investimento sul capitale umano.

Mentre c'è sempre una differenza nei risultati educativi tra individui con differenti provenienze socio-economiche, la differenze si amplia nei paesi ad alta diseguaglianza per le difficoltà di accesso all'educazione di alta qualità delle persone di famiglie svantaggiate.

Questo comporta una grande quantità di potenzialità sprecate e una più bassa mobilità sociale.

La crescita di posti di lavoro non-standard può creare opportunità di lavoro ma contribuisce anche a più grandi diseguaglianze

Il rapporto dell'OCSE sottolinea il peso che le politiche di precarizzazione del lavoro hanno sull'aumento delle diseguaglianze di reddito e non solo.

 Il lavoro part-time e a termine e le forme di lavoro autonomo ammontano ora a circa un terzo dell'occupazione totale nei paesi OCSE.

Dalla metà degli anni '90, più della metà di tutti i posti di lavoro creati sono stati in forme di lavoro atipico. Molti lavoratori non standard stanno peggio in molti aspetti della qualità del lavoro, come i salari, la sicurezza del posto di lavoro o l'accesso alla formazione.

In particolare, i lavoratori a termine a bassa qualificazione subiscono sostanziali penalizzazioni salariali, instabilità delle entrate e più lenta crescita salariale.

 Le famiglie che dipendono prevalentemente dai guadagni di lavoratori atipici hanno indici di povertà molto più alti (22% in media), e l'aumento nel numero di queste famiglie nei paesi OCSE ha contribuito ad aumentare la diffusa diseguaglianza.

 Secondo il rapporto, il lavoro non standard può essere un punto di partenza per un'occupazione più stabile, ma questo dipende dal tipo di lavoro e dalle caratteristiche dei lavoratori e delle istituzioni del mercato del lavoro.

In molti paesi, i lavoratori più giovani, specialmente quelli soltanto con contratti a termine, hanno minori opportunità di muoversi verso un posto di lavoro stabile, che garantisca la loro carriera.

Più donne al lavoro riducono le diseguaglianze

Le donne hanno fatto significativi progressi nel ridurre le differenze con gli uomini in termini di partecipazione al lavoro, e differenze salariali e di carriera e questo ha posto un freno alla crescita delle diseguaglianze.

Ma, secondo i dati OCSE, rimangono ancora con circa il 16% di minori probabilità di avere un lavoro retribuito e ricevono circa il 15% di salario in meno rispetto agli uomini.

Se la proporzione di donne al lavoro fosse rimasta quella di 20 o 25 anni fa, nota il rapporto, la diseguaglianza di reddito sarebbe aumentata in media di circa 1 punto in più dell'indice Gini. L'impatto del più alto tasso di lavoro femminile full time e dei relativi più alti salari ha aggiunto un altra riduzione di 1 punto a questa misurazione delle diseguaglianze.

L'alta concentrazione della ricchezza limita le opportunità di investimento

La ricchezza è ancora più concentrata dei redditi: nei 18 paesi OCSE con dati comparabili, in media, il 10% più ricco delle famiglie detiene la metà della ricchezza totale, il successivo 50% detiene quasi l'altra metà. Mentre il 40% meno ricco ne detiene soltanto un minuscolo 3%.

 Usa, Gran Bretagna, Portogallo, Australia e Grecia sono i paesi con la più alta concentrazione della ricchezza; dalla parte opposta della scala stanno Norvegia, Belgio, Repubblica Slovacca, Lussemburgo e Finlandia.

L'Italia è all'ottavo posto per concentrazione della ricchezza.

 Sia alti livelli di indebitamento che il possesso di scarse ricchezze colpiscono la possibilità della bassa classe media di intraprendere investimenti in capitale umano o altri.

L'alta concentrazione della ricchezza può indebolire la crescita potenziale.

Le politiche per affrontare l'alta diseguaglianza e promuovere pari opportunità per tutti

Le raccomandazioni del rapporto non si scostano dalla tradizionale “timidezza” delle soluzioni proposte dall'OCSE, rispetto alla chiarezza dei fenomeni di aumento delle diseguaglianze a livello globale.

Secondo il rapporto, i decisori politici hanno uno spettro di strumenti e mezzi per affrontare le crescenti diseguaglianze e promuovere pari opportunità per tutti.

Perchè questi pacchetti di politiche abbiano successo, sono essenziali una buona fiducia nelle istituzioni ed un efficace dialogo sociale.

Per ridurre la crescente divisione tra ricchi e poveri e promuovere pari opportunità per tutti, l'OCSE indica quattro aree principali in cui servirebbero politiche coerenti.

La partecipazione delle donne alla vita economica. Secondo l'OCSE, i governi devono perseguire politiche che elimino il trattamento discriminatorio tra uomini e donne nel mercato del lavoro e rimuovano le barriere all'occupazione femminile e alla loro progressione di carriera, incluse misure per far crescere i salari delle donne a basso reddito.

 

La promozione dell'occupazione e di posti di lavoro di buona qualità.  Le politiche pubbliche dovrebbero enfatizzare l'accesso ai posti di lavoro e l'integrazione del mercato del lavoro. Il focus dev'essere, secondo il rapporto, su politiche allo stesso tempo di quantità e qualità dei posti di lavoro: posti di lavoro che offrano possibilità di carriera e di investimento personale; posti di lavoro che siano punti di partenza piuttosto che chiusi in sé stessi.

Un importante elemento per rafforzare la qualità del lavoro e affrontare le diseguaglianze è il superamento della segmentazione del mercato del lavoro.

Competenze e istruzione. Un'attenzione ai primi anni, così come ai bisogni delle famiglie con bambini in età scolare, è cruciale, secondo il rapporto, per affrontare le differenze socio-economiche nell'istruzione. Dev'essere fatto di più per dare ai giovani le competenze di cui hanno bisogno per una buona partenza nel mercato del lavoro. Con un'economia in rapida evoluzione, ulteriori sforzi devono essere fatti nel promuovere l'aggiornamento continuo delle competenze durante la vita lavorativa, con uno stretto coinvolgimento delle imprese e dei sindacati.

Sistemi fiscali e di trasferimento per una redistribuzione efficace.  Una redistribuzione adeguatamente disegnata attraverso i sistemi fiscali e di trasferimenti è uno strumento potente per contribuire a maggiore eguaglianza e maggiore crescita.

Nei decenni recenti, la efficacia della redistribuzione è stata indebolita in molti paesi a causa del fatto che i sussidi per l'età lavorativa non hanno tenuto il passo dei salari reali e le tasse sono diventate meno progressive.

Secondo il rapporto le politiche dei governi devono assicurare che le persone più ricche e anche le imprese multinazionali (per queste ultime l'OCSE sta perseguendo il progetto BEPS, contro la “doppia non tassazione” nei paesi d'origine e in quelli in cui operano) paghino la loro quota di peso fiscale. Grandi e persistenti perdite nei gruppi a basso reddito sottolineano il bisogno di politiche ben disegnate a sostegno del reddito e di una spesa sociale contro-ciclica.

 

In Italia, povertà e diseguaglianza sono più ampie che nella media OCSE

Sulla base del rapporto OCSE, in Italia la crisi ha esacerbato le disparità di reddito, che sono tra le maggiori in Europa.

Il reddito medio del 10% più ricco della popolazione è pari a 11 volte quello del 10% più povero, mentre nella media OCSE il divario di 9,6 volte.

Il coefficiente di Gini - che misura le differenze nella distribuzione della ricchezza (va da 0 a 1 e più è alto e maggiore è la disparità) - è salito in Italia dallo 0,313 del 2007 allo 0,327 del 2013, il sesto più alto in Europa e il 13esimo nell'OCSE, mentre nello stesso periodo la media dell'area ha avuto una variazione molto più contenuta, passando da 0,314 a 0,315.

Il 10% più povero della popolazione in Italia ha accusato un calo del reddito del 4% l'anno tra il 2007 e il 2011, mentre il reddito medio è calato del 2% e quello del 10% più ricco solo dell'1 per cento.

La povertà è aumentata in maniera molto marcata, salendo a un tasso del 14,9% nel 2013, oltre 4 punti in più rispetto al 2007, uno dei dati peggiori dell'OCSE (il quarto tra quelli disponibili), mentre la media dell'area è passata dal 7,7% del 2007 al 9,9% del 2013.

 I bambini sono la fascia d'età con la maggiore incidenza di povertà, il 17% contro il 13% medio OCSE.

Anche i giovani tra i 18 e i 25 anni hanno un tasso di povertà superiore alla media (14,7% contro 13,8%), mentre gli ultra 65enni se la cavano meglio che nel resto dell'OCSE (9,3% contro 12,6%). Tra gli adulti il tasso di povertà è del 12,1% (OCSE 9,9%) e i “working-poor” - cioè quanti hanno un lavoro ma un reddito sotto la soglia di povertà - arrivano al 12%, quando si fermano in media all'8,7% nell'OCSE.

 

Precarietà e diseguaglianza di reddito

Il rapporto evidenzia come la maggiore fonte di disparità di reddito sia la disuguaglianza di reddito da lavoro, aumentata (+0,65%) tra il 2007 e il 2011. La causa principale della dispersione salariale è il diffondersi di contratti atipici, a un livello che non ha pari nell'area OCSE, con retribuzioni inferiori rispetto ai contratti standard.

In Italia il 40% degli occupati nel 2013 lavorava con contratti atipici, contro il 33% medio OCSE. Tra il 1995 e il 2007 mentre l'occupazione con contratti standard è salita solo del 3% in Italia (contro il +10% medio OCSE), i contratti atipici sono aumentati del 24%, il dato più alto dell'OCSE a fronte di una media del 7,3%.

Tra il 2007 e il 2011 l'occupazione con contratti tradizionali è calata del 4,3% in Italia (-3% OCSE), mentre il lavoro atipico è salito dell'1,6% (il doppio della media OCSE). I lavoratori con contratti atipici in media in Italia guadagnano il 25% in meno l'ora rispetto a un lavoratore standard.

Il 53% degli atipici è il principale percettore di reddito in una famiglia (contro il 48% OCSE), che spesso si trova per questo alla soglia di povertà.

L'Italia è, dopo la Grecia, il Paese OCSE con la maggiore porzione di famiglie di lavoratori atipici a rischio povertà, il 37% contro il 27% medio OCSE.

 In Italia, rileva inoltre il rapporto, il sistema fiscale e dei trasferimenti non allevia la situazione dei “working poor”, mentre a livello OCSE tasse e agevolazioni riescono ad evitare la povertà a circa un terzo dei lavoratori con situazioni lavorative sub-standard.

In Italia resta poi ampio il divario di genere. Quanto ad occupazione, è il maggiore dell'OCSE (18% contro il 12%), anche se si è ridotto rispetto al 32% del 1992.

 

Cresce la concentrazione della ricchezza

Passando agli effetti della crisi sulla ricchezza netta degli italiani, stando ai calcoli dell'OCSE per il 20% più povero tra il 2006 e il 2012 è calata del 25% annuo contro il calo dello 0,8% del 20% più ricco.

 Per il resto della popolazione, ovvero la classe media, la flessione è stata del 2,1 per cento.

 Tradotta in cifre, la ricchezza netta media delle famiglie italiane nel 2010 ammontava a 273.600 dollari, sopra la media OCSE (268.500 dollari).

Per il 20% più povero tuttavia il dato si riduce a 5.495 dollari, mentre per la fascia mediana arriva a 175 mila (media OCSE 149 mila), balzando a 1,23 milioni per il “top 10%” e spingendosi fino a sfiorare i 4 milioni per l'1% più ricco. Dato quest'ultimo che risulta tuttavia sotto la media OCSE che è di 4,65 milioni.

 Le famiglie italiane sono le meno inclini a fare debiti: solo il 25% vi fa ricorso contro l'80% delle norvegesi e delle americane.

Inoltre solo il 2% delle famiglie italiane può essere considerata eccessivamente indebitata contro il 24% negli Usa e il 30% in Norvegia.

 

Anche se l'OCSE non lo dice, si conferma – come ha sottolineato la CGIL – sia la fallacia del solo indicatore debito pubblico-PIL, rispetto a paesi che, diversamente dall'Italia, hanno fortissimi indebitamenti privati; sia la necessità di riequilibrare la situazione di enorme e crescente diseguaglianza di ricchezza attraverso l'introduzione di una tassa sui grandi patrimoni.