Facing the State: Left Analyses and Perspectives (transform! europe)

Nel quadro delle attività di approfondimento promosse da Transform!Europe e dall’editorial board dello Yearbook – pubblicazione annuale a carattere monografico, attraverso cui il think tank del Partito della Sinistra Europea promuove una discussione capace di intercettare e coinvolgere le principali voci dell’intellettualità internazionale afferente al mondo della sinistra di alternativa e alle sue differenti anime –, tra il 22 e 23 di settembre ha avuto luogo ad Atene, presso la sede del Nikos Poulantzas Institut, un convegno dal titolo “Facing the State. Left Analyses and Perspectives”

Il convegno intendeva restituire ad un pubblico più ampio, e sotto forma di dibattito aperto alla discussione, i contenuti dell’ultimo numero dello Yearbook, incentrato per l’appunto su questi temi. In rappresentanza della Fondazione Di Vittorio e dell’area Storia&Memoria ha partecipato Mattia Gambilonghi, da pochi mesi membro del nuovo editorial board della rivista di Transform!Europe.

Per la Fondazione Di Vittorio e la sua attività, la partecipazione a momenti riflessione come quello di Atene è importante sia perché permette di stare dentro – con il proprio contributo, il proprio punto di vista e la propria cultura politico-sindacale – al dibattito condotto dalle reti europee e transnazionali di ricercatori e studiosi di scienze politiche, umanistiche e sociali, sia perché permette di creare quelle sinergie e quella collaborazioni indispensabili per rendere più efficace e più ad ampio respiro l’azione culturale condotta dalla Fondazione, un’azione volta a sostenere le ragioni del lavoro e della democrazia.

Come è possibile intuire dal titolo, l’oggetto principale della discussione è stato rappresentato dal tema dello Stato, delle sue funzioni e delle sue relazioni: un tema che attraversa l’intera storia del movimento dei lavoratori per le sue evidenti ricadute strategiche e progettuali. Dal tipo di analisi condotta riguardo l’apparato statale e i suoi rapporti con le diverse forze sociali, sono infatti derivati nel corso del tempo sia diverse ipotesi di azione (rottura o riforma? Abbattimento o democratizzazione?), che diversi obiettivi programmatici e rivendicativi: guardando per esempio alla nostra storia, è evidente come l’acceso dibattito che intorno al 1949/50 si sviluppò in seno alla sinistra politica e sindacale circa le prospettive ed il significato di un insieme di misure – come fu appunto il Piano del Lavoro presentato da Di Vittorio – di natura dirigistica e di ispirazione keynesiana, originasse da giudizi difformi circa le capacità di intervento delle forze democratiche e del lavoro sulle leve statali. Se il Pci assegnava infatti a quelle misure un significato più tattico e strumentale, laddove al contrario la Cgil di Di Vittorio e Santi riteneva strategica quella linea di politica economica (in ragione delle sue ricadute sulle condizioni materiali di vita delle classi lavoratrici e sulla loro forza contrattuale), la ragione di questo dissidio va individuata proprio in una diversa diagnosi dello Stato repubblicano uscito dalla Resistenza e fondato sul lavoro, così come della sua permeabilità alle istanze popolari e dei margini di azione di quest’ultime al suo interno.

Sulla natura non monolitica, né tanto meno strumentale dello Stato rispetto ai gruppi economicamente egemoni ha tra l’altro fornito un contributo capitale per la sua profondità analitica ed ermeneutica proprio Nikos Poulantzas, a cui è intitolato l’istituto che ospitava il convegno, e i cui concetti-chiave sono stati più volte richiamati nel corso dei due giorni. L’intellettuale greco, allievo di Louis Althusser e tra le più vivaci menti del dibattito teorico-politico francese degli anni ‘60 e ‘70, è infatti famoso per essersi confrontato con la questione dello Stato contemporaneo abbandonando il semplicismo e il riduzionismo di classe del marxismo precedente, riconoscendogli una relativa autonomia rispetto alle classi sociali. Attribuendo allo Stato una natura “relazionale”, Poulantzas definiva infatti quest’ultimo come la “condensazione dei rapporti di forza tra le classi”: non dunque uno Stato neutro, né tanto meno prerogativa delle classi dominanti, ma come una struttura giuridica e di potere portata naturalmente a “registrare” e a cristallizzare le dinamiche del conflitto sociale. Vedere lo Stato. la sua conformazione, la sua inclinazione dal punto di vista degli interessi sociali, come una “posta in gioco del conflitto sociale”, porta Poulantzas a sposare una strategia di lotta politica e trasformazione sociale incentrata su un’idea di socialismo democratico.

Un quadro inevitabilmente complicato e reso ancora più frastagliato dalle dinamiche palesatesi nell’ultimo quarantennio: a partire dalla globalizzazione economica e finanziaria, nel cui quadro i centri di potere statale e nazionale sono stati progressivamente affiancati (e, dal punto di vista decisionale, espropriati) da istituzioni sovranazionali di natura tecnica ed impermeabili a forme di legittimazione controllo democratico; per arrivare alla nuova e pervasiva azione nel campo della riproduzione sociale; passando per le sfide connesse all’emergenza climatica e all’azione per una transizione energetica e produttiva che non può che avere per protagonista uno Stato profondamente rinnovato nelle sue strutture e nelle sue logiche di funzionamento. Tutti temi affrontati e scandagliati nel corso del convegno da alcuni dei più rinomati studiosi europei di area progressista: da Etienne Balibar a Hillary Wainwright, da Goran Thenborn a Ankica Cakardic, passando per dirigenti politici e rappresentanti parlamentari come la spagnola Marga Ferrè, la ministra finlandese Jukka Pietilainen o l’ex-ministro greco Euclid Tsakalotos. 

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