24 anni fa l'omicidio di Massimo D'Antona

La Fondazione di Vittorio vuole ricordare Massimo D’Antona il giorno del suo assassinio per mano delle cosiddette Nuove Brigate Rosse, il 20 Maggio 1999.

E’ importante ricordare l’attività e il pensiero di un grande studioso del Diritto del lavoro che del rapporto e del confronto con il sindacato ha fatto una delle sue stelle polari. La straordinaria fecondità delle sue riflessioni e i suoi studi hanno come caratteristica principale l’aver saputo (pre) vedere per tempo le trasformazioni in atto a livello di società e di economia, nei confronti del lavoro e  delle sue necessarie tutele attraverso una legislazione volta a salvaguardarne il fondamentale ruolo.

Formatosi sotto il magistero di Renato Scognamiglio, erede di quella tradizione giuslavoristica inaugurata da Francesco Santoro Passarelli, l’attività accademica di D’Antona si snoda tra le Università di Catania, di Napoli e infine presso “la Sapienza di Roma”, dove viene chiamato a ricoprire la cattedra di Diritto del lavoro negli anni ‘90. Durante tutti questi anni, D’Antona concepisce il suo ruolo di giurista e di tecnico del diritto stabilendo un legame fortissimo con la realtà sociale circostante. Non a caso, fece sua e riprese in più occasioni l’immagine (coniata da Lombardi Vallauri) che vuole l’attività del giurista finalizzata alla costruzione di “ponti” tra la realtà sociale e il mondo del diritto.

Questa connessione, questo legame strettissimo tra le due dimensioni, spinge e motiva D’Antona  sia ad una partecipazione intensa ai luoghi di elaborazione del sindacato (si pensi alla Consulta giuridica della Cgil) che in importanti ruoli istituzionali (la sua esperienza presso il Ministero dei Trasporti, la partecipazione al Cda dell’ENAV, la sua attività di consulenza presso il Ministero del Lavoro). Se infatti il giurista è colui che costruisce i “ponti” tra la scienza giuridica e il mondo reale, al tempo stesso, secondo la sua concezione, è anche colui che è incaricato del compito di una continua manutenzione di questi ponti.  Un aspetto, quest’ultimo, che riporta alla sua capacità di lettura di processi ancora in nuce, ma la cui portata e il cui impatto potenziale obbliga gli scienziati sociali – e in particolar modo i giuristi – a fare i conti con essi, sollecitando un rinnovamento della teoria capace di far fronte a queste sfide. È questo lo spirito che ispirerà due fra i più rilevanti scritti dei suoi ultimi anni di vita: “Il diritto del lavoro di fine secolo: una crisi di identità?” e “La grande sfida delle trasformazioni del lavoro: ricentrare le tutele sulle esigenze del lavoratore come soggetto”.

In questi due saggi D’Antona porta a sintesi e sistematizza dal punto di vista teorico e dottrinario gli aspetti principali (uno su tutti: il suo contributo alla privatizzazione del rapporto di pubblico impiego) della sua attività di “giurista costruttore” e riformatore sociale.

La tutela del lavoro nelle sue diverse condizioni è chiamata ad allargare la sua visuale, passando dal solo “lavoro subordinato” a quello che verrà da lui definito il “lavoro senza aggettivi”.  Riflessioni che, ancora oggi, sono punto di riferimento per un sindacato che vuole confermare e rinnovare la propria azione, strategia e progetto.

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