Luciano Lama

L’uguaglianza, la libertà, la democrazia, lo sviluppo, la conoscenza, la giustizia, la salute, la pace sono i valori che contano nel progresso umano e che non dobbiamo solo lasciare all’ideologia, ma viverli quotidianamente.

Il 31 maggio 1996 moriva Luciano Lama, aveva 74 anni. Proprio nello stesso giorno il Governo Prodi otteneva la fiducia definitiva alla Camera e la “sua” sinistra assumeva la guida del Paese.

Luciano Lama divenne segretario generale della CGIL nel 1970, l’anno dello Statuto dei diritti dei lavoratori. Aveva solo 49 anni ma già un curriculum sindacale che lo aveva visto rivestire le cariche più importanti dell’organizzazione.

Aveva combattuto nella Resistenza, per poi passare a dirigere la rinascente Camera del Lavoro di Forlì, da lì parte la sua esperienza sindacale alla quale avrebbe dedicato buona parte della sua vita.

Il Comitato di liberazione nazionale vide in quel ragazzo, con grande preveggenza, un dirigente sindacale destinato a un futuro importante. Fu lo stesso Di Vittorio a volerlo nel 1947 a Roma in segreteria confederale, entrambi credettero e si batterono, per un valore insostituibile del livello confederale del sindacato come espressione di sintesi del movimento, come luogo di compensazione delle istanze diverse provenienti dalla base.

La sua segreteria generale durò 16 anni, la più lunga nella storia della CGIL. Sarebbe impossibile darne conto completamente ma, a 24 anni dalla sua scomparsa vogliamo ricordarlo, in questa situazione eccezionale, attraverso alcuni dei temi caratterizzanti il suo pensiero e la sua attività politica e sindacale.

Il suo nome è rimasto legato, in una pubblicistica davvero ingenerosa, ai momenti difficili più che ai successi: dalla vicenda Fiat del 1980, passando per le difficoltà della strategia dell’Eur fino alla dolorosa contestazione all’Università La Sapienza di Roma nel 1977.

La segreteria generale di Lama fu ben altro, per la Cgil e per l’Italia. I contratti dal 1969 al 1973, segnalano la più grande avanzata a favore del mondo del lavoro, furono contratti acquisitivi in termini di salario, potere del sindacato in fabbrica, condizioni di lavoro che resero importante il ruolo dell’organizzazione sindacale in tutto il panorama politico nazionale. Ne scrisse Gino Giugni in quel periodo per sottolinearne la crescente centralità.

Gli interventi più significativi della sua segreteria si svolgono in questo periodo, a partire dal Congresso di Bari del 1973, “il momento più bello della mia vita sindacale”. Secondo tale proposta la politica sindacale doveva puntare ad avere un più largo respiro con una strategia appositamente centrata sui temi della disoccupazione e del Mezzogiorno: “…..il Congresso di Bari del 1973 è stato quasi la realizzazione di un sogno; l'insieme dell'organizzazione conquistò la consapevolezza della questione meridionale, quindi dell'occupazione e dello sviluppo, e si riuscì, grazie a un'elaborazione che era fondamentalmente nostra, della CGIL, a realizzare una strategia del movimento sindacale italiano….”.

Fu davvero la sintesi di tutto il pensiero e dell’azione di Lama: una proposta autonoma della CGIl, in un momento di grande difficoltà del Paese, avanzata dal livello confederale sul tavolo istituzionale e governativo, per modificare il meccanismo di sviluppo tenendo insieme tutto il mondo del lavoro nel nome di un interesse davvero generale e nazionale.

Lama è stato un uomo profondamente legato alla democrazia italiana vissuta come eredità nobile di quella lotta di Resistenza alla quale aveva partecipato in prima persona. Per lui, come per tanti di quella generazione, la democrazia fu conquista faticosa piuttosto che un dato scontato.

La libertà era la condizione imprescindibile per il riscatto del mondo del lavoro. La democrazia repubblicana garantita dalla Costituzione era la vera rivoluzione italiana che consentiva al mondo del lavoro di farsi cittadinanza e diventare parte integrante di uno Stato fino a quel momento estraneo e ostile. Il lavoro, nella sua dimensione di espressione di un “interesse davvero nazionale”, diventava la base del nuovo compromesso costituzionale, presidio di quei valori senza i quali la condizione dei lavoratori non sarebbe mai migliorata, né in termini economico-sociali né in termini di diritti.

Quando la Repubblica attraversò gli anni terribili del terrorismo Lama non esitò a schierare l’organizzazione a difesa della democrazia, pagando un tributo molto alto in termini di sacrificio e impegno politico e organizzativo. Conquistare il mondo del lavoro a una lotta senza esclusioni di colpi contro il terrorismo è merito che va riconosciuto alla classe dirigente del sindacato di quegli anni, senza la quale probabilmente la storia della Repubblica avrebbe seguito un altro e più drammatico corso.

Lama fu anche, e soprattutto, il segretario delle grandi conquiste salariali e normative, delle grandi conquiste di Welfare state che negli anni Settanta avvicinarono l’Italia alle condizioni dell’Europa più avanzata; fu il segretario che accompagnò l’ingresso della CGIL nella CES sancendone in maniera definitiva la scelta europeista. Fu il sindacalista della responsabilità e l’uomo della fermezza a difesa della democrazia. Il sindacalista capace di aprirsi al rinnovamento, politico e organizzativo, ma anche in grado di incarnare la grande tradizione della CGIL e i suoi valori identitari.

Un uomo che ha combattuto tante battaglie: molte le ha vinte alcune le ha perse ma tutte con lo stesso rigore morale e con la stessa coerenza e sincerità che lo hanno reso, agli occhi di amici e avversari, uno degli uomini pubblici più rispettati della storia repubblicana.

Luciano Lama fu uno dei più autorevoli e capaci dirigenti sindacali della storia italiana. Di certo fu uno dei più amati. Basta constatare l’affetto che tantissimi nutrono ancor oggi nei suoi confronti: quei lavoratori che vedevano in lui un uomo che condivideva sinceramente i loro problemi e le loro preoccupazioni, e i tanti dirigenti sindacali che con lui hanno collaborato che ne parlano con stima immutata.