Un puntiglioso giornale di guerra, di Mario Aniasi

Dopo un anno passato in città in mezzo ai rumori della vita frenetica e allo smog più o meno intenso, ad una certa età il nostro corpo necessita di un periodo per disintossi­carsi nella quiete e nell'aria pura della campagna. Per riempire gli spazi forza­tamente vuoti di questo periodo e per godermi appieno il meritato riposo, ho portato con me alcune letture. Fra que­ste sono rimasto colpito da un piccolo libricino di cui avevo letto una elogiati­va recensione su alcuni quotidiani.

Il libricino in questione mi ha fatto piacevol­mente rivivere un tormentato periodo della mia giovinezza. Non si tratta, come si potreb­be immaginare, di una storia di amori giova­nili ma di un diario autobiografico di una grande figura dell'antifascismo: Bruno Trentin.

Scritto in francese, sua seconda lingua, su una vecchia agenda fra il 22 settembre e il 15 novembre 1943 il “journale de guerre”, così Trentin lo aveva intitolato, narra il periodo tormentato dopo l'armistizio dell'8 settembre e il pieno impegno nella lotta partigiana di un giovane diciassettenne.

Lo scritto, di cui Trentin non aveva mai par­lato con nessuno, ma che aveva custodito gelosamente, fu trovato fra le sue carte dopo la sua morte avvenuta nell'agosto scorso.

Trentin aveva vissuto sin da fanciullo in un clima familiare antifascista essendo il padre Silvio uno dei maggiori dirigenti del Partito d'Azione clandestino il quale, per evitare le galere fasciste, fu costretto all'esilio in Francia con tutta la famiglia composta dalla moglie, da Bruno di pochi mesi di vita, dal fratello Giorgio e dalla sorella Franca.

Bruno crebbe alla scuola del padre, divenuto uno dei punti di riferimento dell'antifascismo in esilio in Francia.

In questo clima e a contatto con molte perso­nalità dell'antifascismo militante Bruno svi­luppò il suo carattere ribelle che lo portò ad impegnarsi ben presto ad essere considerato dal padre pronto per la lotta armata al fasci­smo e per questa ragione lo portò con sè al rientro in Italia dopo la caduta del fascismo.Nel periodo precedente al rientro in Italia Bruno, che suggestionato da alcune letture aveva sviluppato idee anarcoidi, organizzò con alcuni compagni una piccola banda che svolgeva azione di propaganda e progettava, naturalmente in modo teorico, attentati alle linee ferroviarie e ad altre istallazioni. Questa attività giovanile lo portò anche in carcere, tradito dall'inesperienza: aveva infatti diffuso dei manifestini scritti su carta sottratta alla libreria posseduta dal padre che facilmente permise alla polizia di individuarlo.

Rientrato in Italia col padre dopo un avventu­roso viaggio da Ventimiglia a Treviso, dove il padre fu accolto calorosamente, Bruno si tro­vava nella piazza di questa città quando gli altoparlanti trasmisero il comunicato del generale Badoglio che annunciava l'armisti­zio. L'annuncio fu accolto in modo festoso dalla popolazione che esultava gridando: la guerra è finita.

Rientrato a casa di corsa, riferì la notizia al padre esultando lui pure per la fine della guerra, ma il padre gli rispose serio: “caro Bruno la guerra non è finita, la vera guerra incomincia ora'.

Subito dopo, Silvio Trentin dopo aver esorta­to inutilmente il generale comandante la piazza a opporre resistenza all'occupazione tedesca, iniziò ad organizzare le prime bande partigiane che su iniziativa di alcuni ufficiali degli alpini si erano formate alle pendici del Grappa. Nel frattempo, Bruno iniziava a scri­vere il suo “journale de guerre”.

Vi riportava giorno per giorno le notizie, tal­volta frammentarie, che riusciva a raccogliere sull'andamento della guerra sui vari fronti, dai giornali italiani, più spesso da radio Londra, o da altre emittenti che riusciva a captare, ritagliava ed incollava carte geografi­che sulle quali segnava con frecce l'avanzare delle truppe alleate sbarcate in Italia.

Talvolta riportava notizie apprese da varie fonti mentre seguiva il padre nel suo lavoro organizzativo: inizia così il periodo della clan­destinità che obbliga padre e figlio a spostar­si continuamente nei vari paesi della zona, ospiti di amici antifascisti, spesso azionisti.

Il 19 novembre Silvio e Bruno Trentin vengo­no arrestati dalla squadraccia fascista “Ettore Muti”. Vengono portati prima alla federazio­ne fascista, poi al carcere giudiziario.

Nel tragitto verso il carcere Bruno ingoia tutti i documenti compromettenti che aveva con sè tanto che nella notte viene colpito da una occlusione intestinale. Bruno viene rilasciato dopo lo giorni in quanto in regola con i docu­menti e perché non gli era stato trovato nulla addosso. Il padre, figura arcinota alla polizia per il suo passato e per il suo carisma, è colpi­to durante la detenzione da un grave attacco di cuore: trasportato in ospedale piantonato, è soggetto a ripetuti attacchi cardiaci in seguito ai quali viene rilasciato pur rimanendo in ospedale. Il rilascio non avviene certamente per imperizia dei fascisti quanto probabilmen­te per il fatto, che dato l'aggravarsi delle sue condizioni di salute e la popolarità del perso­naggio, la sua morte in stato di detenzione poteva causare ripercussioni negative al regime. A questo punto il diario si interrompe e inizia per Bruno il tempo della lotta armata.

Il padre morirà di lì a poco e la sua morte ovviamente causerà un grave trauma in Bruno che ne raccoglie in tutti i sensi l'eredi­tà. Da quel momento cessava il periodo della semplice clandestinità e Bruno raggiunge le formazioni partigiane sul Grappa.

Come ho detto all'inizio, la lettura di questo libro mi ha fatto rivivere il periodo della mia giovinezza: le ansie, i timori, le speranze che si ritrovano nel “journal de guerre” sono quel­le vissute da tutti i giovani coetanei di Bruno Trentin cresciuti in un ambiente antifascista, anche se non così impegnati come i Trentin.

Io, pur essendo di qualche anno più giovane di Bruno Trentin ho vissuto gli stessi stati d'a­nimo, le stesse preoccupazioni. Vivendo in un piccolo centro, dove la mia famiglia era sfollata, ed avendo due fratelli che avevano rag­giunto le formazioni partigiane in Val d'Ossola, dovevamo oltretutto anche nascon­dere questa loro scelta, inventando una loro prigionia in Germania.

Anch'io, con alcuni amici che si trovavano nella stessa situazione avendo anche loro i fratelli che avevano seguito Iso in montagna, avevo costituito un gruppo che progettava, naturalmente, data l'età, in forma teorica azioni di sabotaggio.

Anch'io seguivo l'andamento della guerra dalle notizie di radio Londra ascoltata con tutte le finestre ben chiuse, e mantenendo basso il volume. I delatori erano in ogni luogo e la preoccupazione non era solo dei danni che potevamo correre noi, ma dei danni che ne potevano derivare ai nostri congiunti impegnati nelle lotta di resistenza in forma diretta. Ecco perchè la lettura del diario di guerra di Trentin mi ha fatto fare un tuffo in quegli anni difficili ma anche esaltanti, un tuffo reso possibile anche da una prosa scor­revole, di facile presa e nello stesso tempo coinvolgente ed emozionate. (Da 'LETTERA AI COMPAGNI' periodico della Fiap (Federazione italiana delle associazioni partigiane).