Nel flusso del cambiamento, Bruno Roscani

No, non voglio con questo mio scritto ripercorrere la storia politico-sindacale di Bruno Trentin nei suoi rapporti tra sapere e lavoro, tra scuola, università e ricerca e i processi di emancipazione del lavoro e nel lavoro.


E’ già stato tutto scritto nei suoi libri, nei suoi atti e documenti ufficiali della sua lunga militanza politica e sindacale nella Cgil e nel Partito d’azione prima e poi nel Pci. Il tutto mirabilmente condensato nel discorso da lui svolto presso l’Università in occasione della consegna della laurea honoris causa (opportunamente ripubblicato in questi giorni nel sito FLC). E molti dirigenti a lui vicino potranno meglio di me fare “memoria storica” del suo grande apporto alla storia della democrazia nel nostro paese.

Voglio invece ricordarlo (dal mio osservatorio di membro dell’Ufficio studi della Cgil, prima e poi in qualità di Segretario generale del sindacato scuola e università) nei momenti in cui si sono incrociati i percorsi fra convinzioni e concezioni diverse nei gruppi dirigenti sindacali e le decisioni e i compiti che la Cgil stava deliberando e attuando su alcune questioni nodali della sua “missione” e della sua storia nella vicenda sociale complessiva del nostro paese.

Con la direzione della Cgil da parte di Agostino Novella si era compiutamente realizzato il superamento dei limiti messi in luce dall’autocritica di Di Vittorio dopo la sconfitta Fiat. Il sindacato, la Cgil, tornava a radicarsi nelle fabbriche, fuori da ogni deriva “aziendalistica”, per aprire la grande stagione della contrattazione decentrata e articolata e ad inaugurare - come affermazione della sua autonomia e della sua capacità di rappresentanza e partecipazione democratica all’interno delle imprese – la grande stagione dell’intervento sulla organizzazione del lavoro. Il sindacato, nelle sue diverse espressioni e forme organizzate della forza-lavoro, proiettato all’interno dei luoghi di lavoro come unico soggetto capace di contrattazione, a fianco delle Commissioni interne per loro natura organismi
unitari di rappresentanza e di autotutela delle maestranze.

Questo il quadro degli orientamenti “novelliani”. Sulla natura e sul ruolo del sindacato come grande protagonista sociale- in quegli anni di novità nel quadro politico e in quello della programmazione economica - sulla scena della politica economica e sociale a tutto tondo, che affonda le sue radici nei luoghi di lavoro proprio per alimentare la sua funzione di forza sistemica di emancipazione e di sviluppo democratico. Ma la realtà stava mutando impetuosamente questo quadro di riferimento del sindacato: i delegati e i consigli di fabbrica travolgono – con una funzione innovativa e unificante delle esperienze e dei modi d’essere del sindacato - le due dimensioni della rappresentanza in azienda. Nell’Ufficio studi, allora diretto da Ruggero Spesso, cresciuto insieme a Trentin dall’epoca di Di Vittorio in avanti, sosteniamo la linea di Novella che sarà poi definitivamente messa in crisi e superata.

Trentin, artefice di questo cambiamento, raccoglie e illustra i termini di queste vicende (che costituiscono il risultato di una delle lotte politiche più sofferte dai gruppi dirigenti e dai militanti della Cgil) nel suo libro “Da sfruttati a produttori”. Ruggero Spesso mi parlava continuamente della sua amicizia con Bruno Trentin e della sua profonda stima e simpatia umana, al di là della diversità di posizioni. Così quel grande dirigente, un po’ distaccato, un po’ scontroso e riservato, quel dirigente rigoroso che si affaticava quotidianamente a portare in un borsone il peso dei suoi libri e dei suoi giornali, mi veniva raccontato da Spesso come un uomo pieno di ironia, capace, insieme a lui, di scherzi al limite della goliardia, che Di Vittorio paternamente perdonava…

Ma che dice Trentin nel suo libro a proposito dei Consigli di fabbrica? Se mi è consentita una lunga citazione, la riprendo volentieri perché ci porta al cuore dei problemi che si dovranno affrontare se si vuole assolvere al compito che la Cgil vuole affidare - vincendo la battaglia contro le resistenze delle associazioni professionali di sinistra avverse alla costruzione del sindacato “verticale” (dal bidello di scuola al “barone” universitario)- alla costituenda Cgil scuola e università.

Trentin scrive:
“La stessa domanda di massa, espressa dai Consigli di fabbrica di una struttura unitaria nell’azienda che superasse radicalmente la pratica delle organizzazioni sindacali nei luoghi di lavoro, nasce, se si riflette attentamente, da questa stessa matrice: dalla natura delle rivendicazioni del proletariato industriale degli anni ’60, dai loro contenuti politici e dai nuovi problema di elaborazione collettiva, di conoscenza non frantumata che essi ponevano all’azione dei lavoratori”. Ecco il cuore del problema a cui occorre dare una risposta: il bisogno di “conoscenza non frantumata”.

Trentin così indica qual è il motore nuovo, la forza nuova, la qualità nuova che costituiscono il lavoro (che attraverserà la fase fordista e che si accrescerà a dismisura nella fase post fordista, in un processo a espansione “a spirale” che si alimenta del rapporto sapere-lavoro-sapere).

La riforma della scuola con l’estensione dell’obbligo nella scuola media si accompagna in questa strategia di sviluppo dei bisogni dei lavoratori di “conoscenza non frantumata” con la conquista delle 150 ore (una conquista dei metalmeccanici, con la Fiom sotto la direzione di Trentin, poi estesa alle altre categorie). E poi con l’apertura dell’Università di massa, superando la sua costituzione elitaria.

Trentin sostiene che l’obiettivo delle 150 ore sia quello di portare i lavoratori al traguardo del primo grado di istruzione obbligatoria secondo una metodologia che tenga conto delle basi di cultura e di esperienza e di capacità operaia, una metodologia che arricchisce la scuola e apre - per la prima volta - nel sistema d’istruzione italiano un processo orientato verso la formazione (professionale) continua e la formazione permanente, la formazione (delle “tre elle”) lungo l’arco della vita.
Una conquista che spinge verso una riforma della stessa complessiva struttura dell’istruzione pubblica, dalla scuola all’Università.
Vengono sconfitte così quelle posizioni estremizzanti, ma di sapore corporativo, che vorrebbero fare delle 150 ore il viatico verso la “scuola operaia”.
Trentin, interprete della concezione della classe operaia come “classe generale”, prosegue sulla strada aperta dalla Cgil di Di Vittorio, che porta a considerare le conquiste dei lavoratori (oltre al “loro” Statuto dei diritti) come fondamenta per il riconoscimento e l’estensione universale dei diritti. E ciò in tutti i campi: dall’istruzione, al riconoscimento del valore sociale della maternità, dalla prevenzione alla protezione e alla tutela dei rischi alla salute, alle garanzie sociali. Il Trentin del sindacato dell’autonomia, delle libertà e dei diritti nasce da lì.

E’ questa la “lezione” che mi portai in dote quando fui chiamato a dirigere la Cgil scuola e università. Nel periodo in cui fui chiamato alla direzione di questo originale ed unico Sindacato “verticale”, però non riuscii mai a far passare la linea dell’ampliamento della sfera di questo sindacato al settore dei lavoratori della Ricerca.
Su ciò debbo dire che Trentin, di fronte alla impossibilità di far passare una simile ipotesi, si poneva su una posizione che confermava la necessità di una organizzazione specifica (che lui seguì sempre con occhio attento) del delicato e importante settore della ricerca, rispondendo così alla esigenza di una coordinata e integrata azione all’interno di una politica di sviluppo industriale e dei settori innovativi (dove la presenza pubblica si confrontava con un diffuso settore della ricerca privata).
Non erano ancora maturi i tempi per portare entro una grande, unica organizzazione professionale e sindacale quella enorme ricchezza rappresentata dalla ricerca universitaria, che rimaneva rinchiusa così in un ambito autoreferenziale, distorta dall’ancora prevalente orientamento giuridico-umanistico. Ma si comprese che la ricerca costituiva il punto nodale da cui poteva partire quel processo di riforma dell’intero assetto della conoscenza e del sapere.

La FLC Cgil , nascerà dopo oltre trenta anni.

In quel periodo iniziale, il “riverbero” sul delicato settore della Cgil scuola-Università delle posizioni ideali, rivendicative, della stessa concezione dell’organizzazione del lavoro, della produzione e della società che scaturivano dall’organizzazione dei metalmeccanici e dai loro sindacati sempre più legati dal “patto di unità” che ormai traguardava quella organica, dopo un lungo periodo di unità d’azione, si fa sentire con forza.

Così i rapporti tra i settori scuola-università e quelli dei sindacati metalmeccanici e degli altri settori industriali generano all’interno del settore scuola-università posizioni contraddittorie e, al limite, contrastanti e dilaceranti. Qui i percorsi della Fiom di Trentin e quelli della Cgil scuola e Università si incrociano.

Contro le tendenze a riprodurre “meccanicamente” nella scuola e nell’Università le posizioni e le rivendicazioni contrattuali e sociali proprie e specifiche dei lavoratori industriali – soprattutto poi quelle più radicali ed estremizzanti – si apre una comune battaglia. Dura e difficile. “Gli aumenti eguali per tutti”, “la “docenza unica”, il “voto collettivo”, la scuola e l’Università chiuse ad ogni forma “esterna” di partecipazione democratica, il tentativo - di segno pansindacalista - della presentazione alle elezioni degli organi collegiali della scuola delle liste “dei genitori” con marchio sindacale, sono i momenti di questa battaglia per un corretto orientamento e per sconfiggere posizioni falsamente progressive all’interno della Cgil scuola e università, che Trentin e la sua Fiom da parte loro aiutano spesso esplicitamente, sempre implicitamente con le scelte di politica sindacale che punta a valorizzare la professionalità.

Chi rilegge il suo articolo pubblicato sul l’Unità del luglio del 2006 sulla critica al concetto e alla pratica della “meritocrazia”, non può non condividere quanto egli afferma sul “merito” come “potere indivisibile' del padrone o del governante, che tende a ridimensionare ogni valutazione fondata “sulla conoscenza' e il “sapere fare” . Questi ultimi due elementi, “conoscenza” e “sapere fare”, sono appunto gli elementi fondanti del valore del lavoro. Trentin tiene ferma la barra (e la terrà per sempre) su questi due elementi fondamentali della concezione del lavoro.

Giusta fu quindi la decisione che la Cgil negli anni ‘70 prese di riaprire la contrattazione per superare un assurdo accordo “egualitario” nel settore della scuola che prevedeva una scala retributiva parametrica da 100 (rapportato ai bidelli) a 130 per i direttori e i presidi scolastici! Così come giusto fu il sostegno alla rivendicazione dell’estensione del diritto alla contrattazione dello stato giuridico e dei trattamenti retributivi dei docenti universitari “ordinari” (quelli che difendevano la loro posizione “baronale” dietro l’impossibilità di applicare la contrattazione del loro rapporto di lavoro perché giuridicamente venivano equiparati agli “ambasciatori” collocati fuori della sfera contrattuale). Una rivendicazione che dopo un lungo braccio di ferro si concluse con la definizione contrattuale di un nuovo stato giuridico, poi raccolto nella legge del 1980 che avviava un processi di riforma universitaria.

In un altro momento, delicatissimo e drammatico della storia sociale e politica del nostro paese, s’incrociano nuovamente i cammini della Cgil scuola e Università e la trentiniana Fiom. La violenza e il terrorismo.
A Brescia, città operaia, i caduti a Piazza della Loggia sotto la violenza e il terrore fascista sono alcuni docenti, iscritti alla Cgil scuola e Università: il sangue degli uomini e delle donne di scuola si aggiunge alla lunga scia del sangue operaio e contadino.
A Brescia si tocca con mano questo legame di solidarietà e di unità fra il movimento operaio e le donne e gli uomini di scuola (insieme si ritrovano idealmente - come mai prima era accaduto - i martiri di quel lavoro che vedeva uniti “sapere e sapere fare” per rivendicare un’Italia libera e democratica).

E poi, sotto la tormenta del “brigatismo rosso” scuola, università e fabbriche combattono una battaglia ardua, difficile, ma senza cedimenti. Cgil scuola e università e Fiom, insidiate e attaccate reggono lo scontro e lo vincono. E si sono pagati prezzi amari. Una barriera invalicabile viene eretta contro le pressioni “esterne” e altrettanto forte fu la lotta contro le posizioni di coloro che consideravano “compagni che sbagliano” i terroristi, e contro coloro che si schieravano “né con lo Stato, né con le br”. Per la difesa inflessibile della Repubblica fondata sul lavoro, per la quale Trentin aveva speso le sue giovani energie nella lotta partigiana.

Trentin deve essere ricordato anche come animatore inflessibile di questa battaglia per la democrazia nelle scuole e nelle università, nelle fabbriche, nel paese intero. Le scuole e le università italiane lo ricorderanno…la “lezione” di Bruno Trentin è - e rimarrà - parte grande della loro storia.

Bruno Roscani