Bergamo

BIBLIOTECA "DI VITTORIO" della  CGIL BERGAMO

 

Cosa resta del nostro Maggio

Da più di un mese c’è solo silenzio, intervallato dall’ormai familiare cantilena di ambulanze e campane a lutto. Bergamo e le sue valli si sono fermate, inaspettato epicentro di un’emergenza sanitaria globale. Scoprendo la paura, il trauma di vedere i propri cari morire senza un ultimo saluto, il dramma di un'intera generazione che se ne va. A qualcuno potrebbe sembrare paradossale che in un contesto simile si scriva e si ragioni di lavoro, e addirittura della sua Festa. A noi della Biblioteca “Di Vittorio” della Cgil di Bergamo sembra invece più che mai doveroso. Perché la pandemia ha avuto come conseguenza l’interruzione oppure, all’opposto, la continuità senza ragione e senza protezione di molte attività produttive, obbligandoci a ripensare il lavoro nel più ampio contesto di un sistema di sviluppo che si misura con la contraddizione tra produzione e salvaguardia di salute e ambiente. E perché, in questa fase, stare a casa allo scopo di evitare il contagio significa anche non poter festeggiare come sempre alcune delle più importanti ricorrenze civili. In particolare, in questo 2020, dopo il 25 Aprile, non ci è consentito scendere in piazza per celebrare il Primo maggio, la Festa dei lavoratori. La storia del Primo maggio ha molto da raccontare in funzione della crisi del lavoro che oggi colpisce al punto tale da far registrare richieste di ammortizzatori sociali per più della metà dei dipendenti del settore privato nella provincia orobica. Nelle vicende e nella cronologia della Festa dei lavoratori a Bergamo, infatti, c’è un intreccio tra il protagonismo sociale e politico di un gruppo di militanti che ha contribuito a (ri)costruire il sindacato, e la compiuta affermazione dell’identità operaia come segno insieme di appartenenza e di lotta. Ne sono dimostrazione le testimonianze e le fotografie raccolte negli anni, a partire da quelle in posa, con il vestito della festa, che precedono la grande guerra, fino ad arrivare ai cortei ordinati e imponenti prima del fascismo. La festa celebrava allora il rinnovamento e la speranza, coincidendo con l’inizio della primavera, quasi a disegnare orizzonti di riscatto.  Una giornata che non avrebbe conosciuto il radicamento di cui invece sappiamo, se non fosse coincisa con una delle fasi più ottimistiche per il movimento operaio. Di fatto, nemmeno il fascismo seppe spegnere la spinta conviviale del Primo maggio, che alcuni lavoratori ricordavano, esibendo un fiore all’occhiello o un particolare tipo di cappello di paglia e, a volte, fuggendo verso le colline circostanti la città per cantare e bere.  Ed è nell’immediato dopoguerra che la festa del Primo maggio si associa non più alla costruzione, ma alla ricostruzione del movimento operaio. Mentre ancora echeggiano gli spari, il Primo maggio 1945 si salda – idealmente e cronologicamente – con il 25 aprile e il Comitato provvisorio della Camera del lavoro di Bergamo e provincia si rivolge ai lavoratori, alle lavoratrici e a tutti i partigiani proponendosi come la loro “casa”. Gli anni ‘50 sono l’apoteosi del Primo maggio a Bergamo. La grande manifestazione del 1950, preparata anche come prova di forza della Cgil nei confronti della Cisl appena scissa, in un territorio a forte vocazione cattolica, è rievocata come un passaggio mitico nella storia della confederazione orobica. La spettacolare parata e la grande partecipazione sono il segno di un desiderio di coinvolgimento in cui si afferma una duratura espressione della soggettività operaia. Ne è rappresentazione la fotografia del 1954 con le operaie del calzificio Germani che sfilano lavorando sul camion della ditta: si dismette l’abito della festa per esibire l’uniforme da lavoro e si avvia una tradizione che, proseguendo fino a tutti gli anni ‘60, salda l’orgoglio operaio alla rivendicazione della propria condizione. Si arriva dunque al 1971, primo grande corteo unitario. I sindacati confederali si riuniscono per festeggiare il Primo maggio e i cartelli recitano parole d’ordine che, come nell’immediato dopoguerra, esprimono un sentimento antimilitarista. Dagli anni Ottanta la celebrazione tende a diventare un rituale cristallizzato in un corteo silenzioso e nei discorsi ufficiali dal palco allestito in Piazza Vittorio Veneto. Una tendenza che è segno del progressivo accantonamento del lavoro nel dibattito pubblico. In questo senso, alle soglie di una crisi che da sanitaria si sta trasformando in economica e sociale, il Primo maggio ha ancora molto da insegnarci. Occorre recuperarne i simboli e le usanze, compresa l’abitudine a stare tra compagni festeggiando. Tra i due poli – costruzione e ricostruzione – è di nuovo il momento di ribadire il diritto nel lavoro, ma prima ancora al lavoro, per i tanti che non hanno occupazione o che la stanno perdendo. Resta intatto il dovere per la memoria di chi ha contribuito a costruire e ricostruire e che oggi ci lascia, segnando un passaggio generazionale di cui sentiamo il bisogno di raccogliere l’eredità.

 

Il manifesto del Primo maggio 1945 con cui il Comitato provvisorio della Camera del lavoro di Bergamo e provincia si rivolge ai lavoratori, alle lavoratrici e a tutti i partigiani. Per la stampa si usa una carta magenta, l’unica disponibile nelle tipografie locali (Archivio Biblioteca “Di Vittorio” della  Cgil di Bergamo)

 

 

Operaie del Calzificio Germani sfilano lavorando, sul camion della ditta. Bergamo, Primo maggio 1954 (Archivio Biblioteca “Di Vittorio” della Cgil di Bergamo)

 

Bergamo, la piazza del Primo maggio unitario di Cgil, Cisl e Uil nel 1971.(Archivio Biblioteca” Di Vittorio” della Cgil di Bergamo)

 

 

Sito web: http://www.cgil.bergamo.it/

 

 

 

 

 

 

Contatto
Via Giuseppe Garibaldi, 3,
24122 Bergamo , BG
Italia
Telefono: 035 3594350
45° 41' 43.9548" N, 9° 39' 58.4532" E
Bergamo IT
Aree
Storia e Memoria: